I ruderi della diga del Gleno sono oggi un monumento che onora la memoria di chi ha perso la vita nel disastro del 1° dicembre 1923. Lontana nel tempo e ancora viva solo nei ricordi della gente della valle, la storia del Gleno racconta di un’infrastruttura che crollò dopo soli due mesi dall’ultimazione dei lavori: in condizioni di totale riempimento, la porzione centrale della diga cedette di schianto e riversò sei milioni di metri cubi di acqua, fango e detriti lungo l’impervia gola fino al fondovalle, inghiottendo interi paesi e causando centinaia di morti. Di ciò che doveva essere la prima diga realizzata dall’integrazione di due tipologie costruttive, a gravità e ad archi multipli, nonché l'opera che doveva rappresentare il rilancio idroelettrico della valle, rimangono oggi solo due tronconi e un enorme squarcio.
Nel centenario del disastro del Gleno, il Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate dell’Università degli studi di Bergamo ha avviato uno studio interdisciplinare per ripercorrere la storia progettuale e costruttiva della diga e comprendere le peculiarità di un’opera di ingegneria innovativa e ardita. La ricerca è stata condotta dai ricercatori e docenti del Dipartimento insieme ai laureandi del corso di Laurea Magistrale in Ingegneria delle Costruzioni Edili Michele Bianchessi, Ruggero Folli e Simone Rapelli.
Gli studi hanno riguardato tre specifiche azioni:
I recenti studi condotti dal Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate sono confluiti nell'attività di Public Engagement La diga del Gleno a un secolo dal disastro: riflessioni sul progetto e sulla costruzione di un’imponente opera di ingegneria, un progetto che vuole fare memoria del disastro del Gleno contribuendo a superare versioni popolari dell’accaduto, sensibilizzare il pubblico sul tema delle grandi infrastrutture in contesti paesaggistici particolarmente fragili e mettere in luce il potenziale della ricerca e dell'ingegneria per la conservazione del nostro patrimonio infrastrutturale.
L’attività di Public Engagement nasce da un consolidato rapporto di collaborazione esistente tra il Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate e importanti realtà territoriali, quali la Comunità Montana di Scalve, il Club Alpino Italiano (sezione di Bergamo), l’Ordine degli Ingegneri di Bergamo le scuole secondarie di secondo grado della città e della provincia di Bergamo.
L’iniziativa ha preso il via il 14 settembre e fino a dicembre prevede una serie di eventi di carattere divulgativo aperti alla cittadinanza e alla comunità scolastica, tenuti dal Prof. Andrea Belleri e dal Dott. Michele Bianchessi, organizzati sia presso le sedi dell’Ateneo sia presso le sedi delle Istituzioni partner del progetto e degli Istituti Superiori coinvolti. Al cuore del progetto di Public Engagement anche una mostra itinerante che illustra gli studi condotti dal Dipartimento. Dopo aver fatto tappa nelle scuole superiori del territorio, nel mese di dicembre la mostra sarà allestita al Campus di Ingegneria di Dalmine per la fruizione della cittadinanza, anche grazie a delle visite guidate tenute dai docenti e ricercatori del Dipartimento.
INCONTRI PUBBLICI
INCONTRI RISERVATI AGLI ISTITUTI SUPERIORI
Relatori: Andrea Belleri e Michele Bianchessi
VISITA DIDATTICA ALLA DIGA DEL GLENO
MOSTRA ITINERANTE
I laureandi del corso di Laurea Magistrale in Ingegneria delle Costruzioni Edili Bianchessi, Folli e Rapelli hanno collaborato con il team S.A.B.E. (Survey & Analysis of Built Environment) del Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate per condurre uno studio conoscitivo finalizzato a comprendere la storia della diga: dalla genesi del progetto, alla fase costruttiva, al crollo sino alle attuali ipotesi di conservazione alla Stato di Rudere. In particolare sono state effettuate delle indagini diagnostiche e conoscitive attraverso scansioni multispettrali e rilievi geometrico-materici con l’utilizzo integrato di strumenti a sensori attivi (3D laser scanner) e passivi (fotogrammetria digitale), nonché differenti metodologie operative, sia terrestri che aeree. Il risultato finale è stata la realizzazione di modelli virtuali 3D ed elaborati grafici necessari alla scelta degli interventi manutentivi più opportuni e sostenibili. Un breve video ripercorre le fasi principale del progetto di conoscenza.
Gli studi sulla diga del Gleno condotti dal Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate sono confluiti nel volume A partire da quel che resta. Il disastro del Gleno tra storia e paesaggio, memoria e futuro (1923-2023) a cura di Lorenzo Migliorati, Franco Angeli, Milano, 2023.
Attraverso una pluralità di voci di varia estrazione disciplinare, sotto l’egida del Centro Studi sul Territorio “Lelio Pagani” dell’Università degli studi di Bergamo, il libro fa il punto su molti aspetti del disastro del Gleno, commemora le vittime di allora e parla alle comunità di oggi.
Il volume è pubblicato con licenza open access.
A cura dei docenti e ricercatori del Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate
Molti governi in tutto il mondo pianificano nuove iniziative di mix energetico, come in Europa, per migliorare la penetrazione delle rinnovabili fino al 100% e ridurre le emissioni di CO2. Questo nuovo mix di generazione di energia spesso sfida l'equilibrio del carico elettrico e la stabilità della rete. Infatti, nei mercati con una forte penetrazione degli impianti fotovoltaici ed eolici, che non sono in grado di garantire una produzione regolabile e programmabile, è richiesto un elevato livello di flessibilità nella gestione degli altri impianti di generazione elettrica (tradizionali e rinnovabili), che ne comprometta il meno possibile le prestazioni.
In questo scenario, la capacità di inseguimento di un carico da parte degli impianti idroelettrici può giocare un ruolo fondamentale nei Paesi con elevata disponibilità idrica e conformazione geografica adeguata. Grazie alla presenza di sistemi di accumulo attraverso il pompaggio, è possibile sfruttare l’eccesso di produzione da fotovoltaico ed eolico per accumulare l’energia solare in forma potenziale e utilizzarla anche dopo il tramonto regolando la produzione in funzione del valore istantaneo della domanda elettrica. Le fonti di energia pulita rappresentano una sfida per il mondo moderno e, sorprendentemente, una delle più antiche e meno considerate tra le rinnovabili può rappresentare una efficace soluzione nella gestione della transizione energetica per il nostro Paese.
Approfondimento a cura di:
Giuseppe Franchini, Giovanni Brumana
Turbomacchine e Sistemi Energetici
La diga ad archi multipli costituisce un’evoluzione della diga ad arco ed è utilizzabile in presenza di sezioni di sbarramento molto ampie, in quanto le divide in più settori ognuno dei quali viene chiuso da archi di limitato diametro e spessore. La prima diga ad archi multipli ad essere realizzata in calcestruzzo armato è quella progettata e costruita nel 1908 dall’ingegnere americano John S. Eastwood, composta da 12 archi sostenuti da 13 contrafforti.
Per quanto riguarda l’Italia l’Ing. Carlo Bonomi cataloga le dighe realizzate e in corso di costruzione a tutto il 1923: si tratta di 84 manufatti già completati e 48 ancora in fase di cantiere. Le tipologie più diffuse sono quelle a gravità di muratura in calcestruzzo; in terra; a gravità di muratura e malta curve o rettilinee; a volte/archi multipli in cemento armato.
In Italia la prima diga ad archi multipli costruita nel Novecento è quella di Combamala in Piemonte (1913-1914). Tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti, oltre a quella del Gleno, erano state costruite: la diga di “Riolunato”, (MO), a volte multiple di cemento armato e piloni di muratura di pietrame in malta, (1920); la diga di “S. Chiara d’Ula”, (CA), a volte multiple in cemento armato e piloni di muratura in malta, (1923); la diga di “Piano Sapeio”, (GE), a volte multiple in cemento rettilinea (1923). Erano invece in fase di cantiere le dighe di: “Lago Nero”, (BG), a volte multiple; di “Pavana”, (BO), a volte multiple con ali terminali a gravità di cemento armato e calcestruzzo; “Molato”, (PC), a volte multiple in cemento armato rettilinea; “Lago Venina”, (SO), a volte multiple verticali e piloni di calcestruzzo.
(Jackson 2009, Eastwood 1909, Bonomi 1924, Mazzà et al. 2003, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti)
Approfondimento a cura di:
Monica Resmini
Da millenni, le dighe rappresentano opere di fondamentale importanza per la gestione dei sistemi idrici mondiali, dapprima necessari al sostentamento del settore agricolo e, successivamente, alla produzione di energia elettrica. Il calcestruzzo, il materiale da costruzione più utilizzato al mondo, insieme alle avanguardie della tecnica sviluppatesi negli ultimi decenni ha consentito la realizzazione di sbarramenti sempre più audaci per contenere volumi di acqua sempre maggiori.
Nel secolo scorso, gli studi sui materiali cementizi hanno evidenziato che lo sviluppo delle proprietà meccaniche di questi avviene grazie a reazioni chimiche fortemente esotermiche e, quindi, mediante sviluppo di calore nei primissimi giorni dal confezionamento. In particolare, negli elementi di piccola dimensione e in assenza di vincoli esterni che impediscono le deformazioni termiche, lo sviluppo e la dissipazione del calore determina innocue e omogenee contrazioni ed espansioni volumetriche, senza la comparsa di lesioni. Tuttavia, la massività dei conci delle dighe riduce la capacità di dispersione del calore, determinando la nascita di un apprezzabile gradiente di temperatura tra “cuore” e “superficie” dell’elemento in calcestruzzo. La presenza di questo gradiente conduce a un differente comportamento deformativo tra gli strati, con la conseguente nascita di vincoli mutui che impediscono la libera contrazione/espansione e che quindi creano le condizioni favorevoli allo sviluppo di fessure, specialmente durante i primi giorni di vita del conglomerato quando la sua resistenza a trazione è particolarmente modesta.
Questi problemi possono essere mitigati riducendo sia la quantità di calore prodotto dal cemento che la velocità con cui tale calore si sviluppa, obiettivi raggiungibili tramite l’utilizzo di cementi a basso contenuto di clinker (cementi LH, Low Heat) e/o additivi super-riduttori d’acqua nonché aggregati di grossa pezzatura che permettono di ridurre al minimo il quantitativo di cemento contenuto nell’impasto. Queste strategie possono essere poi integrate con una riduzione del gradiente di temperatura tra il “cuore” e la “corteccia” dell’elemento, ottenibile tramite l’applicazione di materassini coibenti sulla superficie del cassero all’interno di cui viene gettato il materiale.
Approfondimento a cura di:
Simone Rapelli, Denny Coffetti, Luigi Coppola
CemLab - Cementitious Materials Laboratory
La crescente necessità di capacità di stoccaggio d’acqua e di controllo di fenomeni metereologici eccezionali sta suscitando, in Italia e nel mondo, grande interesse circa la manutenzione delle dighe esistenti e il completamento dei progetti incompiuti. In Italia, solo il 70% delle 542 grandi dighe esistenti è pienamente operativo, con una ridotta possibilità di sfruttamento (circa il 47%) della potenziale disponibilità di acqua.
Il ripristino della completa funzionalità delle dighe esistenti è oggi un'attività strategica nell’ottica della sostenibilità energetica e resilienza del nostro territorio. Tuttavia, in un Paese ad alta sismicità come quello italiano, la manutenzione e il ripristino delle grandi dighe implicano anche la valutazione delle loro prestazioni sismiche e la progettazione di potenziali strategie di riabilitazione.
Lo studio della stabilità delle dighe di terra in condizioni sismiche è una questione complessa, a causa della natura delle forze in gioco e dei materiali coinvolti, e della loro interazione reciproca. Il grado di complessità aumenta nel caso delle dighe zonate, in cui materiali con diverse proprietà idrauliche e meccaniche sono combinati per massimizzare l'integrità strutturale e la tenuta idraulica.
Questo contributo presenta i risultati di prove dinamiche in centrifuga geotecnica condotte per investigare la risposta di una diga zonata sottoposta a forze sismiche. Durante le prove, il modello è stato strumentato con sensori miniaturizzati (trasduttori di pressione interstiziale, tensiometri, accelerometri, trasduttori di spostamento lineari e rotazionali) e sottoposto a una sequenza di eccitazioni dinamiche di intensità crescente in condizioni di invaso ordinario.
REDREEF - Risk Assessment of Earth Dams and River Embankment to Earthquakes and Floods, Università di Bologna, Ferrara, Messina, Napoli Federico II, Roma La Sapienza, Padova, ISMGEO srl – PRIN2017
Approfondimento a cura di:
Daniela Giretti
Geotecnica